Quale pensione avremo nel momento in cui termineremo la nostra attività lavorativa? La risposta è complessa perché prevede molte variabili, alcune di natura generale (leggi, regolamenti, riforme) e molte altre soggettive (anni di contribuzione, età di ingresso nel mondo del lavoro, periodi di inattività). Sicuramente hanno inciso molto le riforme del sistema pensionistico statale che si sono susseguite negli ultimi decenni; e, in linea generale, saranno soprattutto le nuove generazioni a percepire pensioni più basse, ma le prestazioni previdenziali saranno inferiori per tutti, rendidendo così indispensabile o almeno consigliabile il ricorso a forme pensionistiche integrative, rese attrattive dal legislatore
mediante un trattamento fiscale fortemente agevolato.
PERCHÉ UNA PENSIONE INTEGRATIVA?
Il nuovo sistema pensionistico ha visto innalzarsi l'età minima per andare in pensione, insieme al numero di anni di contribuzione necessari; un'altra importante novità consiste nel fatto che la pensione percepita dipenderà dai contributi versati lungo l'intero arco della vita lavorativa, dall'andamento del PIL e dalla “speranza di vita” al momento del pensionamento.
CHI PUÒ ADERIRE?
Chiunque può ricorrere alla pensione integrativa: i lavoratori dipendenti, quelli autonomi e quelli con altre forme di contratto, ma anche chi non svolge un’attività lavorativa o è fiscalmente a carico di un familiare. È infatti possibile ad esempio per un genitore iscrivere alla previdenza complementare la propria figlia o il proprio figlio fin dalla nascita, beneficiando anche in questo caso della deducibilità fiscale.
FORME DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE
La scelta tra le forme di previdenza complementare dipende anche dalla tipologia di lavoro svolto: sia il lavoratore dipendente sia il lavoratore autonomo o libero professionista potranno aderire in forma collettiva o individuale, a seconda che sia previsto o meno un fondo pensione di riferimento.
SERVE UNA FORMA DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE?
La risposta a questa domanda è quasi sempre sì, perché il cosiddetto gap previdenziale, ovvero la differenza fra l'ultimo reddito lavorativo percepito e la pensione attesa, tenderà a essere sempre più ampio.
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