Attività / Manifestazioni

RACCONTI DI PALIO

Aurora Faletti Valentina Ferrero Marco Alpan

I. VELLUTI VIVI È una lampada tenue, ma fa luce ad entrambe. Siamo poggiate su questo enorme tavolo, che è pieno di libri e stoffe, ma che ha ancora spazio per le sue manine curiose e per i miei appunti frammentari. Ogni tanto si ferma e beve un sorso di tè, poi tira di nuovo fuori la linguetta, come ogni bambino nell’atto di concentrarsi, e mi ascolta e cuce mentre l’aiuto con l’ago. Nella bottega c’è silenzio, perché il silenzio deve entrare nella trama del tessuto. A volte succede che qualche sfilante voglia crearsi da sé quel pezzo unico da sfoggiare con fierezza durante il corteo e allora metto da parte il mio orgoglio da costumista e accetto di spiegare quest’arte affascinante, accetto di creare insieme i costumi per la rievocazione. La bambina intanto mi chiede se lo sta facendo bene e le dico che lo sta facendo molto bene, che sta dando forma ad uno splendido copricapo e di continuare. Poi la sua vocina mi chiede come faccio a sapere che forma deve prendere, che linea deve seguire il filo e perché faccio questo lavoro. Ci penso. “È la passione che mi muove”. Creo abiti per rievocazioni storiche. Attenzione: non è il carnevale. Non vuol dire travestirsi in modo ridicolo e approssimativo per farsi foto vintage. Si tratta piuttosto di catturare l’anima dell’epoca, tradurla nei tessuti e farla rivivere negli sfilanti. Inizio scegliendo l’età da rappresentare, il Palio ha un range che va dal 1275 al 1492, e ne seleziono i personaggi da riprodurre. A questo punto trascorro giornate a fare ricerca su quante più fonti possibili: miniature, dipinti, lasciti testamentari, volumi rari da scovare in biblioteche storiche. Trascorro notti a piedi nudi, capelli sciolti e cuore aperto davanti ad illustrazioni medioevali per immergermi nella vita di principesse, sudditi, cavalieri e dame; studio la loro quotidianità attraverso la lunghezza dei loro mantelli, i loro movimenti attraverso le cuciture delle tuniche e la loro posizione sociale attraverso il numero dei gioielli. Approfondire così a fondo il materiale mi permette di vivere molteplici vite diverse in luoghi ed epoche incredibili, ma la parte migliore è poter riprodurre fedelmente quei costumi e accessori così da far rivivere un po’ anche loro: è per questo che lo faccio. Ormai taglio ad occhio i cartamodelli, ho capito come creare maniche adattabili a più stagioni e a più indossatori in modo da sprecare il meno possibile i materiali. Infatti intanto la piccola mi dice che ha avanzato un pezzo di stoffa e che vorrebbe farci un braccialettino. Per quanto riguarda i tessuti da utilizzare nella sfilata, si tratta di trame appositamente ricercate e create: broccati siciliani, velluti tedeschi e canape toscane. In qualche paesino sardo sono ancora lavorate dalle nonne con telaio a mano: quando arrivano nella mia bottega li maneggio con gli occhi lucidi, ne annuso e tocco le fibre con tenerezza. E poi uguale con le calzature, i copricapi, le spade, i vasi, le acconciature. Il motivo che mi fa svegliare ogni giorno felice del mio mestiere, cara bambina, è vedere la luce negli occhi di chi indossa questi abiti. Davanti ad uno specchio, con decisione e delicatezza, sistemo e rifinisco i pesanti vestimenti che, tocco dopo tocco, diventano malleabili, si distendono e prendono vita; e con essi si reincarna la storia. Il giorno della sfilata non è una passerella esibizionistica e goliardica, ma un viaggio nel tempo che include anche gli spettatori: tutta la città, fruscìo dopo fruscìo, assapora la stessa dolcezza antica.

 

II. LA SFILATA DELLA MEMORIA Quando ho realizzato il mio sogno avevo soltanto quattro anni. Mi piace sfilare. Mi piace sentirmi una principessa. Sfilo nel corteo dei bambini nella giornata di vigilia del Palio. È uno dei momenti più amati. Esibiamo i temi storici del Medioevo astigiano in formato bambino. Quando indosso il mio piccolo abito da sfilante provo un’infinità di emozioni. Ne rimango affascinata perché mi fa sentire preziosa, mi fa scappare dalla troppo moderna realtà, dai jeans e dalle felpe che lego in vita quando vado a scuola. Quando indosso il mio piccolo abito mi accorgo di quanto sia elegante, unico, perfetto per il personaggio che vado a rappresentare. Mi piace sentirmi una dama o una principessa. La sarta è brava, posso anche aiutarla nella scelta delle decorazioni per il mio cappellino. Lei sa fare tutto con una cura maniacale, conosce i dettagli dei vestiti alla perfezione ed è dotata di grande inventiva. Gli aghi non la spaventano. Mi regala un pezzetto di tessuto e ne faccio un bracciale portafortuna per il fantino che corre per il mio Rione. Glielo darò prima della corsa. Dove lei lavora tutto è colorato: mi affascinano le sue creazioni e vorrei provarle tutte. La mamma mi dice di stare ferma, ma si sa che a noi bambini è sempre piaciuto il gioco dei travestimenti. Cammino fra rotoli di tessuti, calpesto qualche bottone e, infine, provo l’abito. Sono pronta per sfilare anche quest’anno. A quattro anni ho chiesto a mia madre di poter sfilare. Il Palio è una festa tradizionale che prova a sfidare la modernità. L’emozione più forte di tutte sta nel rivivere l’eleganza di tempi lontani che non ho mai vissuto. Percorriamo le vie del centro, fa sempre molto caldo. I vestiti sono più pesanti di quelli che indosso di solito, ma niente mi distoglie dal pensiero di tutta la bellezza che mi circonda. Il lavoro di preparazione sembra eterno e parte non appena finisce il Palio. Entro gennaio si deve realizzare il tema storico per il 1350, si devono effettuare le ricerche inerenti al tema proposto, si devono studiare i vestiti e gli oggetti che si possono portare in sfilata. Dopodiché iniziano le prove. In giro per la città c’è allegria, sventolano alte le bandierine e gli stemmi dei Borghi, più in là vendono palloncini e frittelle. I miei compagni di corteo sono simili a me: ci hanno sistemati per le feste, siamo perfetti in questa nuova immedesimazione. Ai lati della strada, amici e parenti. Le facce incredule di curiosi turisti vicino a mio papà che fa parte del comitato. La nonna mi sorride, mamma scatta una foto dietro l’altra: vuole immortalare una me bambina felice. Si tratta di un’esperienza entusiasmante. La sfilata parte da piazza Cattedrale e percorre alcune vie del centro storico fino ad arrivare in piazza Alfieri: il percorso è lungo, ma poi tutte le fatiche svaniscono quando ci sistemiamo in tribuna e cantiamo e saltiamo ad ogni passaggio del nostro fantino, del nostro cavallo, ma soprattutto, dei nostri colori.

 

III. AL GALOPPO VERSO UN SOGNO A OCCHI APERTI Soffio sulla superficie del caffè per farlo raffreddare un po’. Fuori è ancora buio e la rugiada ammanta le incantevoli colline che mi circondano, presto uscirà il sole e lascerà il posto a una tiepida giornata. Non è una giornata qualunque per me: è la giornata, quella del Palio di Asti. È da un anno che mi preparo alla competizione e oggi avrò la possibilità di far vedere agli altri di che stoffa sono fatto. Non si corre per partecipare, si corre per vincere, me lo ripeto ogni giorno per non farmi perdere di vista l’obiettivo. Ci sono quei momenti in cui vorresti gettare la spugna e mandare tutto al diavolo: allenarsi costantemente per sei ore al giorno tutti i giorni non è uno scherzo e la fatica pesa. A lungo andare diventa un macigno. Senza contare le sfuriate dell’allenatore e gli infortuni. Possono essere cose da niente, ma il rischio di rimanere all’ospedale per mesi è in agguato e a quel punto la tua carriera è finita. Basta una banale imprudenza, un azzardo, per non salire mai più a cavallo e il solo pensiero mi mette i brividi. Mi vesto in fretta, devo andare subito nella stalla. Non c’è tempo da perdere. Apro la porta e vedo Roncisvalle ritto e fiero, intento a pascersi di biada. Che animali affascinanti i cavalli! Sanno essere arditi e mansueti al tempo stesso, mi sembra di essere in sintonia con la loro anima. Ci capiamo al volo, proprio come oggi. Anche Roncisvalle sa che deve dare il massimo ed è bastato un semplice sguardo d’intesa per farglielo capire. Lo cavalco da quattro anni e non mi ha mai deluso. Se non abbiamo mai vinto è per colpa di chi bara. Due anni fa a Siena gareggiavo per la contrada della Giraffa e avevo la vittoria in pugno… non fosse stato per Sperelli, il mio acerrimo nemico, che mi ha speronato con il suo cavallo per farmi sbandare. Sono arrivato secondo e nessuno mi ha festeggiato: conta solo chi primeggia, gli altri spariscono dagli occhi e vengono dimenticati da tutti. Salgo in sella e usciamo a fare un giro di riscaldamento. Roncisvalle è reattivo e risponde con scaltrezza ai comandi. Se solo la fortuna fosse dalla nostra parte! Già mi immagino sommerso dalle ovazioni, dalle urla e dalle lacrime di gioia; diventare eroi per un giorno, ritagliarsi un posto nel cuore dei tifosi ed entrare nell’albo d’oro del Palio è il sogno di tutti i fantini. Tanto più che il nostro è un lavoro difficile, dove le opportunità scarseggiano e dove bisogna sgomitare per farsi un nome. A volte, però, la vittoria più bella è vedere il sorriso di qualcuno che crede in te, come quella bambina che mi ha regalato il braccialetto di stoffa, cucito con le sue manine apposta per me. «Con questo il tuo cavallo andrà velocissimo», mi ha detto. È stato commovente. E per scaramanzia ora lo porto al polso. Mancano poche ore ormai e sento la tensione impossessarsi lentamente del mio corpo, dalla testa ai piedi. Il canapo è davanti a me, lo posso quasi toccare. Mi trovo nell’arena e succede tutto in un attimo. I cavalli scalpitanti, i foulard sciorinati, il tempo che si ferma. Uno sparo rimbomba in aria. Si corre il Palio, si corre il Palio!

 

SUL PALIO Abbiamo scritto le storie di tre delle tante vite che incarnano il Palio astigiano. Per le centinaia di persone che muovono attivamente questo evento non si tratta di un’iniziativa che brucia e sparisce in giornata, ma è il sogno delle 365 notti precedenti. L’atmosfera medioevale è la trama di un tessuto su cui si adagia l’intera città e ne è per essa senso di riconoscimento e appartenenza. Nonostante la pallidità degli ultimi due anni, abbiamo incontrato persone che con i brividi addosso ci hanno immersi e imbevuti nei loro ricordi. Abbiamo curiosato in quegli occhi dopo aver chiesto loro le emozioni al pensiero di ritornare nella piazza gremita e abbiamo visto lacrime uscire, senza chiedere permesso. È ricerca storica, attenzione al dettaglio, viaggio nel tempo. Tamburi. Canti. Unione. Competizione. Sacralità antica. Surreali silenzi. Le sfumature dei foulard sono le sfumature dell’anima di chi vive il Palio.